Roberto Latini porta in scena una tragedia che ci interroga sugli orrori dei nostri giorni. Nell’ambito del Teatro Ostia Antica Festival – il senso del passato- lo spettacolo mette al centro il tema della giustizia e della ribellione
Di Rosalba Panzieri
L’Antigone di Sofocle è una tragedia che ha cavalcato millenni senza perdere niente della sua forza fecondante, rendendo eternamente viva l’eroina che accetta di morire per servire valori millenari, piuttosto che vivere obbedendo a editti dittatoriali. E’ così viva Antigone, così necessaria, da essere stata tradotta e adattata in 1530 versioni, secondo quanto testimoniò George Steiner nel suo saggio “Le Antigoni” del 1984. Da Euripide a Brecht, da Hordelin al Living Theatre, da Hegel a Kierkegaard, da Nietzsche a Freud, ogni interpretazione di Antigone non esaurisce la ricchezza del mito, ma incarna qualcuna delle opposizioni tragiche della condizione umana. Sotto il cielo di Ostia Antica, sulla scena del Teatro Romano Roberto Latini ha portato in scena un’Antigone che ha scarpe della nostra misura, quella di Jean Anouil. L’Antigone di Anouilh, pur ispirata alla tragedia di Sofocle, si distacca radicalmente per portare sulla scena personaggi moderni e profondamente umani. Per questo è un’operazione coraggiosa iscriverla nel tema “il senso del passato” del Teatro Ostia Antica Festival. Questa Antigone ci somiglia, lontana dall’idealità intera, altissima, incorruttibile della creatura pensata da Sofocle, vive dentro orizzonti più bassi, in un mondo dove “il male è facile e inarrivabile il bene” come scriveva Giovanni Giudici. Proprio per questa verosimiglianza con le nostre debolezze, con la coscienza a mezz’asta che portiamo sull’orrore contemporaneo, che abbiamo imparato a masticare, Anouil sa interrogarci. Ambientata nella Francia occupata, la tragedia si trasforma in una potente metafora della resistenza contro l’autorità, indagando l’eterno conflitto tra legge e coscienza.

Antigone tra le rovine di Ostia Antica cammina sulla nostra coscienza
Dentro i nostri tempi sono stati creati nuovi inferni, monumenti eretti alle lezioni non apprese dal passato, che sputano sangue innocente di esseri umani, spesso bambini. Tali cattedrali del dolore si stagliano sopra ogni orizzonte, abituando il nostro sguardo alla loro presenza, persuadendoci a convivere con l’orrore. Ce lo dice benissimo questa Antigone che si ribella anche alla corruzione dello sguardo, prima che al silenzio connivente. “Quale sarà, la mia felicità? Che donna felice diventerà la piccola Antigone? Quali miserie bisognerà che compia anche lei, giorno per giorno, per strappare coi suoi denti il suo piccolo brandello di felicità? Ditemi, a chi dovrà mentire, a chi sorridere, a chi vendersi? Chi dovrà lasciare morire voltando lo sguardo?” In questa risposta a Creonte, Antigone solleva a noi lo stesso interrogativo.
Il regista Roberto Latini, interprete egli stesso nel ruolo di Antigone, realizza un eccellente dialogo sull’umano concepito come un soliloquio a più voci, una confessione intima e segreta che svela lecontraddizioni umane in un confronto continuo con noi stessi, tra ragione e giustizia, leggi umane e leggi morali. La tragedia vede l’interpretazione di Manuela Kusterman (Nutrice e coro), Silvia Battaglio (Ismene e messaggero), Ilaria Drago (Emone e guardie) e Francesca Mazza (Creonte), per una coproduzione de La Fabbrica dell’Attore teatro Vascello con Teatro di Roma.
“Antigone serve per consolarci – dice Roberto Latini – L’abbiamo evocata, immaginata, misurata al nostro poco. L’abbiamo trattenuta, pregata, liberata nel cuore. L’abbiamo raccontata, ogni volta che abbiamo potuto. L’abbiamo riscritta con le parole nuove che abbiamo imparato vivendo, morendo nel quotidiano fallire, sapendo che ogni variazione è già Teatro. Il dono che portiamo è una promessa e quella di Anouilh è un’Antigone che ci parla da così vicino che quasi quasi potremmo abbracciarla. La sentiamo dire di noi in tutte le lingue, e capiamo tutto, ogni sfumatura, silenzio, respiro”.
Anouil racconta il tormento dell’essere umano contemporaneo
Antigone non è più l’eroina diritta e austera, ma una ragazza insicura e inquieta, in cerca di un senso e di una voce propria, combattuta tra il desiderio di affermarsi e la paura della morte. Anche Creonte è trasformato: non è un tiranno, ma un uomo pragmatico che cerca di salvare Antigone. Il conflitto tra i due non rappresenta più un contrasto ideologico netto, ma un dialogo di anime contraddittorie e in cerca di significato. Con dialoghi intensi e riflessivi, Anouilh mostra personaggi vivi, vulnerabili, e aperti a mille interpretazioni, capaci di far vibrare il dramma oltre il tempo e il contesto storico. La sua Antigone, nata nel buio della guerra, continua a parlare al pubblico grazie alla sua profonda umanità e ambiguità.
La genesi di Antigone di Anouil
Il 6 febbraio 1944, nella Parigi occupata, va in scena l’Antigone di Jean Anouilh al Théâtre de l’Atelier. L’accoglienza è gelida, ma l’opera genera forti reazioni: alcuni la vedono come simbolo di Resistenza, altri come giustificazione del potere. Il dibattito è acceso, alimentato dal fatto che la censura tedesca non l’avesse colpita, facendo sospettare l’autore di collaborazionismo. In realtà Anouilh aveva modificato il testo per evitare censure, come rivelano lettere postume. In una sola replica consente la distribuzione di volantini della Resistenza, ma rimane ambiguo e non prende posizione politica. Interviene pubblicamente solo nel 1945 in difesa di Robert Brasillach, scrittore e giornalista,condannato a morte per collaborazionismo, esprimendo timore per gli eccessi dell’epurazione. Dopo anni di silenzio, nel 1978 chiarisce che la sua Antigone nacque come risposta emotiva alla tragedia del tempo, in particolare ai manifesti dei résistants fucilati dai nazisti