“Erasmus in Gaza”: la tragedia vista da un giovane medico. Intervista a Riccardo Corradini

“Erasmus in Gaza”: la tragedia  vista da un giovane medico.           Intervista a Riccardo Corradini

Il 2 ottobre 2025 migliaia di professionisti della sanità, in oltre 220 ospedali italiani ricordano i 1677 colleghi uccisi a Gaza, attraverso il flash mob “luci sulla Palestina”. Riccardo Corradini ci porta una testimonianza unica, divenuta poi un film, di un mondo che viene distrutto sotto gli occhi di tutti

Di Rosalba Panzieri

In un momento storico segnato da una profonda crisi umanitaria e valoriale, l’iniziativa “Luci sulla Palestina: 100 ospedali per Gaza”, accende i riflettori sulla tragedia in corso e sulla forza della solidarietà. Promossa dalle reti #DigiunoGaza e Sanitari per Gaza, questa mobilitazione dal basso è diventata il più grande flash mob diffuso mai realizzato in Italia dall’inizio dell’attacco israeliano a Gaza, coinvolgendo anche città estere come Lisbona e Santarém. Saranno ricordati i 1677 operatori sanitari uccisi a Gaza, da ottobre 2023 al 2 settembre 2025, attraverso letture a staffetta dei loro nomi. Qui la lista degli ospedali aderenti:

https://www.digiunogaza.it/wp-content/uploads/2025/09/ELENCO-OSPEDALI-aggiornamento-30-Settembre-ore-18.pdf

Nel cuore di questa ondata di indignazione e impegno civile, si inserisce la testimonianza di Riccardo Corradini, un medico specializzando italiano che ha vissuto Gaza da vicino, grazie a un’esperienza Erasmus unica e coraggiosa. Attraverso le sue parole, emergono non solo le difficoltà quotidiane di chi opera in un contesto di guerra, ma anche la resilienza, la dignità, l’umanità e la fratellanza che resistono sotto le bombe. Lo abbiamo intervistato in occasione della proiezione, a Montopoli di Sabina, di “Erasmus in Gaza” documentario di cui è protagonista, per la regia di Chiara Avesani e Matteo Delbò.

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Perché hai scelto di fare un Erasmus a Gaza?

Due sono le principali motivazioni che mi hanno spinto a intraprendere L’Erasmus a Gaza. Prima di tutto ho sempre voluto essere un chirurgo di guerra, un chirurgo d’urgenza e la possibilità di andare a imparare sul campo come viene fatta realmente la chirurgia d’urgenza in condizioni di difficoltà come quelle della Striscia di Gaza era una possibilità imperdibile. Il secondo motivo, altrettanto importante, è la volontà di entrare a far parte di un mosaico più ampio, più complesso della cosiddetta cultural diplomacy. Quindi, attraverso la cooperazione con  organizzazioni non governative, desideravo contribuire a un progetto che vicariasse, andasse a colmare le mancanze della diplomazia tradizionale. Lo scopo è cercare di costruire, attraverso la cultura, la condivisione del sapere, del pensiero critico, un ponte che avvicini le persone e non un muro che le separi. Sicuramente il progetto Erasmus entra a pieno titolo in questa cultural diplomacy che permette quindi alle persone, agli studenti, alle studentesse di tutto il mondo di incontrarsi, confrontarsi e trovare dei punti di incontro, ma anche delle differenze. Proprio conoscendo e conoscendosi, si può arrivare ad apprezzare queste differenze, vivendole come un valore e non come un punto debole. 

Quali sono state le scoperte più significative di questa esperienza?

Le scoperte significative sono state tante. Ho consolidato dentro di me l’idea di voler fare il chirurgo. Ho potuto vivere sulla mia pelle quello che drammaticamente vivono milioni di persone all’interno della Striscia di Gaza quotidianamente. Purtroppo ho avuto esperienza diretta dei bombardamenti ed è stata una cosa terribile, anche se per fortuna sono stati sporadici mentre ero lì, ma mi hanno fatto capire, in minima parte, il terrore che il popolo palestinese è costretto a vivere quotidianamente e le privazioni che deve fronteggiare. Ho scoperto un mondo che, prima del 7 ottobre,  in tanti casi ci veniva ritratto come una realtà grigia, senza speranza, ma non è vero. Le persone all’interno della Striscia di Gaza vogliono vivere, vogliono portare avanti una vita dignitosa, felice. Provano tutte le gioie e le paure che abbiamo anche noi, quindi,  non c’è una differenza da questo punto di vista, anche questa è stata una scoperta. Come tutti, anche loro si divertivano a uscire insieme la sera, ad andare al mare, a poter fare una cena a tutti insieme, per passare dei bei momenti. Come ogni persona. Come ogni essere umano.  La scoperta quindi è stata ritrovarmi simile, in tutto e per tutto, a un popolo che ci sembra molto distante, almeno per quanto riguarda la narrazione che siamo costretti un po’ a subire. 

Cosa significa per te, come medico e come essere umano, trovarti spettatore delle attuali atrocità che avvengono a Gaza?

Come disse una volta, una saggia collega con cui ho lavorato in Afghanistan, noi ci possiamo permettere il lusso della disperazione. Come essere umano è disarmante il senso di impotenza che ci attanaglia. La brutalità che ci ritroviamo a dover affrontare, guardando quello che succede quotidianamente nella Striscia di Gaza e senza poter far niente. Sentimento analogo mi scuote dal punto di vista professionale, perché l’idea di essere un medico e non poter fare nulla per aiutare la situazione è frustrante. Nella Striscia di Gaza non si può entrare come sanitari se non attraverso poche ONG, che chiaramente non hanno la possibilità di garantire l’accesso alle persone, ai medici e al personale sanitario di cui abbisognerebbe la popolazione civile. La carenza di cure è conclamata sin dalle prime settimane dell’invasione nella Striscia di Gaza. Questo chiaramente è un peso da portare per noi medici. Ma non bisogna mai perdere il focus terapeutico. Le persone non muoiono “solo” per le bombe, ma muoiono anche perché manca loro la possibilità di essere curati, perché mancano le strutture e manca il personale sanitario. Ho notizie dai miei colleghi a Gaza che sono più di 1600 gli operatori sanitari uccisi mentre adempivano al loro dovere.  mentre rispettavano il giuramento millenario che hanno fatto. E questo, drammaticamente è diventata la routine, nel senso che è stato legittimato agli occhi dell’opinione pubblica e dei governi conniventi. Questa possibilità anche di oltrepassare il diritto internazionale andando a colpire ,in violazione della convenzione di Ginevra, il personale sanitario e gli ospedali, è aberrante. Sono delle notizie disarmanti, che continuano ad arrivare dai colleghi a Gaza, perché, nonostante ci sia la necessità di intervenire, nonostante la situazione sia catastrofica, si ritrovano senza avere i mezzi per poterlo fare. Proprio perché, oltre al fatto che il personale sanitario viene ucciso, che sopravvive non ha gli strumenti per curare. Non entrano più farmaci, medicazioni, ferri chirurgici, strumenti per la sterilizzazione. Colleghi mi raccontano di garze usate durante gli interventi chirurgici, lavate, rilavate e rilavate finché perdono la forma. Bisogna usare quelle, sapendo che non sono sicuramente funzionali dal punto di vista operativo e che rappresentano anche un rischio dal punto di vista infettivo. 

Quale obiettivo vi siete prefissi con documentario “Erasmus in Gaza”?

Il documentario è riuscito a cogliere  in maniera puntuale il mio percorso a Gaza e a raccontare i sentimenti e le paure. Ma soprattutto i personaggiche ho avuto la fortuna di conoscere. Il messaggio.  che vorrei lanciare alle persone è che siamo, alla fine, tutti esseri umani. Siamo tutti esseri umani, con i nostri pregi, i nostri difetti, le nostre paure, le nostre gioie. E non c’è nessun, nessun, nessun, lo ribadisco tre volte, sottolineandolo, nessun motivo al mondo che possa legittimare il genocidio in corso. Le persone hanno diritto a essere libere e autodeterminarsi. Il popolo palestinese ci dimostra,  da ottant’anni a questa parte, una capacità di resistenza e resilienza he noi tutti dovremmo ambire ad avere.

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