L’ Albania àncora dell’Occidente nei Balcani allargati

L’ Albania àncora dell’Occidente nei Balcani allargati

Intervista a Gino Lanzara

Negli ultimi 100 anni i Balcani sono sempre stati visti come il ventre molle dell’Europa ed un’area di grande instabilità. La scintilla della prima guerra mondiale è scoccata qui e qui, nel cuore dell’Europa, la guerra fredda ha colpito più duramente. Si può dire che oggi l’area balcanica in genere si sia stabilizzata benché ci siano ancora fattori di rischio dati dal fatto, geograficamente e antropologicamente, vi sono particolarità tali che portano ad avere  problematiche connesse ai tanti popoli, agli interessi ed alle culture diverse?

Geograficamente i Balcani individuano una zona che spesso è stata definita geopoliticamente schizofrenica, perché vive immersa in una storia mutevole.

Come lei ha detto giustamente, i Balcani sono intrisi di storia e rimangono nell’immaginario quella parte molle di cui dicevamo poc’anzi. Poco più di 100 anni fa gli austriaci l’avevano capito e per questo hanno tentato di consolidare la regione fino a giungere allo sparo di Gavrilo Princip, che ha messo la parola fine a quella che poteva essere una soluzione politica aprendo le porte alla guerra.

È una zona culturalmente e religiosamente importante, è composita e interessante a cominciare da Sarajevo e dalla sua Moschea con le forti reminiscenze curde, non ottomane, riferibili a Salah el Dinh.

In questo momento potremmo addirittura estendere un po’ il concetto e togliere ai Balcani la definizione di occidentali per passare a quella più ampia di allargati, in conseguenza dell’invasione dell’Ucraina che ha portato ad una sorta di compressione di quelli che potevano essere i Balcani orientali con il congiungimento dell’interno con il Mar Nero fino all’Adriatico, con tutte le possibili criticità e vulnerabilità. La situazione diventa ancora più interessante e fluida se tiene conto del cuneo formato dai paesi che compongono il Trimarium, che parte dal Baltico, attraversa i Balcani e giunge al Mediterraneo. Ecco che da un punto di vista politico ed economico i Balcani occidentali, specialmente per noi, diventano Balcani allargati, più coinvolgenti più importanti e spesso anche più difficili da capire, visto che poi in larga parte si identificano con l’ex Jugoslavia e con l’Albania,

Quanto è importante l’Albania nell’ottica dei Balcani allargati?

L’Albania è un paese a sé stante con una storia interessante che attualmente dovrebbe rivestire un’importanza particolare proprio per noi. Ecco, aggiungo il condizionale perché il paese che in questo momento in prospettiva occidentale stenta ad inserirsi è proprio il nostro mentre ce ne sono altri, come la Germania o addirittura la Svizzera, che stanno imponendo scelte e linee produttive che ci vedono penalizzati. Il problema non è svizzero, nemmeno tedesco; il problema, è italiano.

Malgrado geograficamente la posizione occidentale italiana sia quella potenzialmente più favorevole, Roma ha dimostrato di non avere una politica estera, economica e strategica costante e capace di imporre una leadership produttiva.

Probabilmente il nostro problema sta nel capire la differenza tra vicinanza geografica, possibilità ed effettiva proiezione di potenza con la capacità di esercitare una politica duratura.

La vicinanza geografica ci dovrebbe agevolare, ma dovrebbe essere concettualmente parallela all’esercizio della politica estera, un po’ come fanno i tedeschi dal nord che riescono ad inserirsi in dinamiche che, neanche 100 anni fa, erano animate geopoliticamente da austriaci, ottomani e russi, mentre ora gli attori interessati sono non meno di 18. Difficile armonizzare economia e politica tra paesi costretti ad essere dinamici

Tenga conto che in quest’area c’è la Turchia che continua a muoversi per conquistarsi e mantenere un ruolo, seguendo un filo rosso che lega la politica di Erdogan con i Balcani.

Erdogan, al di là di qualsiasi considerazione personale, è un politico attento; con lui, da un punto di vista analitico e neutrale, la Turchia vuole riprendere quello che era il suo peso nei Balcani a cominciare dalla Bosnia, l’area dell’onda verde, quella più islamizzata e da dove, negli anni scorsi, si sono rivelati i primi movimenti di insorgenza radicale. La Turchia non cede perché ha tanti interessi ed è un Paese che in questo momento gioca bene su tutti i tavoli. Non a caso la Turchia sta anche rivestendo ruoli di comando importanti in ambito Nato, si alterna con gli altri Paesi tra cui il nostro, ma certo non dovremmo dimenticare come la loro pervasività sia ispirata ad un concetto di profondità strategica, a noi del tutto estraneo.

È da lì che potremmo cominciare ad avere dei problemi che geopoliticamente si connettono trasversalmente con le nostre difficoltà di politica estera in relazione ai governi che si sono via via succeduti. In questo momento possiamo immaginare le spinte vettoriali turche dalle zone tradizionali ad est e quelle, sempre turche, che ci arrivano da sud, dalla Libia, un tempo nostra zona d’influenza esclusiva.

Molti dei Paesi dei Balcani allargati fanno parte della Nato che da alleanza militare difensiva potrebbe esercitare un ruolo anche politico? 

La Nato riveste senz’altro un ruolo determinante; oltre all’aspetto più strettamente militare e difensivo è importante ricordare la componente politico-diplomatica che esercita una strategia che punta alla stabilizzazione regionale. Da italiano mi permetto di ricordare l’operato del generale Ristuccia che tra il 2022 e il 2023, al comando di Kfor, ha saputo operare con sagacia la evitando che situazioni pericolose degenerassero. La Nato è un attore che si pone alla pari di Ue e degli americani, interponendosi tra le capitali dei paesi d’area più importanti.

Le entità politiche di Belgrado e Pristina sono rilevanti; quello che ora è importante è per noi italiani capire come interporci ed operare, perché se è vero che abbiamo un’economia propositiva e se è comprovato che abbiamo anche una difesa che ha dimostrato di saper lavorare sul campo, è altrettanto vero che occorre sempre una spinta politica che nel tempo riesca ad essere ugualmente propositiva e che riesca a sostenere tutti gli aspetti. Attenzione perché la parte economica sta diventando preoccupante; ci sono tanti paesi che in quell’area, dalla Slovenia a scendere, ci stanno vedendo in difficoltà; stiamo perdendo mordente, le esportazioni sono in sofferenza.

L’Albania, pur essendo un paese piccolo, ha una posizione geografica importante . Potrà diventare un punto di riferimento  stabile e attendibile anche per il resto dell’Alleanza?

Non facciamoci trarre in inganno dalla grandezza fisica dell’Albania, perché è un Paese che ha in nuce tantissime potenzialità insieme a difficoltà e criticità comuni a tanti altri soggetti dell’area e non, aspetti che vanno considerati ai fini di un’integrazione più fattiva ed in prospettiva futura.

In questo momento anche la conduzione politica non è da sottovalutare; il primo ministro Edi Rama è una persona che si è dimostrata flessibile, capace, in grado di relazionarsi bene e produttivamente con le leadership regionali più importanti, come quella di Belgrado, senza contare che è riuscito a temperare le periodiche spinte kosovare; insomma, un politico che riesce a gestire situazioni potenzialmente difficili anche perché nate politicamente in tempi relativamente recenti ma che conservano aspetti e spinte nazionaliste d’antan di non meno di qualche decennio o più fa, che l’Europa ha già vissuto e superato. L’Albania, come tutta la regione del resto, ci è arrivata dopo; diventa dunque un po’ più difficile in una situazione più progredita contemperare le pulsioni del passato. Ma ripeto, per noi l’Albania è importante, perché ha una posizione più che apprezzabile ed anche perché in ambito Nato può diventare un Paese in grado di dire la sua relazionandosi bene sia con la Grecia sia con la Turchia. Ho letto poco tempo fa che, probabilmente, l’Albania è il Paese che di più e meglio potrebbe contemperare antropologicamente e socialmente il ritorno di Ankara, dunque si tratta di un’entità sicuramente da tenere in attenta considerazione. Del resto c’è da considerare che in Turchia la presenza di oriundi albanesi è consistente con circa 10 milioni di soggetti e che, credo, il 60% dei leader politici e istituzionali turchi siano di origine albanese. Insomma l’Albania coniuga bene posizione geografica e propensione a svolgere politiche produttive anche per il nostro Paese; ovviamente bisogna vedere se tutti i programmi di Rama sono sviluppabili, ma non c’è dubbio che sia una persona capace. Malgrado possa apparire poco elegante, non credo faremmo male a rimanere sulla cresta dell’onda visto il favore di cui ancora gode l’Italia. Considerata la buona reputazione italiana, non tornerebbe così inconcludente considerare le sinergie tra politica, economia, difesa e proiezione di potenza che, in qualsiasi momento e sotto qualsiasi governo, non possono che portare vantaggi.

Accelerare l’ingresso in Europa dei 9 paesi che sono in quest’area in lista d’attesa, potrebbe essere una mossa saggia vista anche l’aggressività della Russia con i rischi di destabilizzazione diretta o indiretta? Come potrebbe avvenire per esempio con la Repubblica di Moldavia ed altre zone limitrofe? L’Europa dovrebbe accelerare l’ingresso di questi paesi o rispettare le sue procedure che sono piuttosto lunghe?

Tenuto conto dei vari aspetti e viste anche le evoluzioni susseguitesi alle ultime elezioni per il Parlamento europeo propendo per un tempo più ponderato, anche perché l’Europa è un’unione fondamentalmente finanziaria ed economica dove la parte politica si sta ancora sviluppando con estrema lentezza; la valutazione di ciò che riguarda lo sviluppo della politica estera è farraginosa; per esempio la cronaca ci dice che la Germania da un lato gradisce l’ingresso e l’integrazione di altri paesi, dall’altro li teme e li avversa; si tratta dunque di un paese che guarda proprio all’area balcanica in modo più attento, più prudente e se da una parte sembra tirare dall’altra allontana.

In questo momento probabilmente è il Montenegro il paese che ha più chance di essere accolto nei consessi più importanti perché è il più piccolo con una popolazione che non arriva al milione di abitanti; insomma è il Paese che tutto sommato offre la possibilità di aprire una strada utile anche per gli altri in modo indolore e meno avventato. È evidente che anche lì la valutazione politica è importante, specialmente nei confronti di quei Paesi che si propongono come antemurali o facilitatori di un riavvicinamento russo, cosa che ora è sicuramente difficilmente proponibile, anche perché magari è la stessa base sociale di questi Paesi ad avere idee diverse perché convinta che l’avvicinamento ad est non porti che ulteriori difficoltà.

Tra l’altro non sembra che l’Europa stia agevolando l’attuazione di politiche capaci di accelerare processi che inevitabilmente lasciano aperti tanti altri aspetti problematici. Facilitare un qualunque altro Paese potrebbe magari riaccendere il rancore di altri rimasti ancora e da lungo tempo al palo come la Turchia, che pure ancora non soddisfa tutti i requisiti richiesti, senza dimenticare i parametri economico-finanziari, quanto mai vincolanti.

Mentre un ipotetico avvicinamento russo appare quanto mai improbabile, vista anche la politica aggressiva del Cremlino, la Cina si propone con il suo stile più felpato, con cui magari potrebbe provare a metter lo zampino in quest’area su basi economiche e  instaurando buoni rapporti politici come ha fatto con i paesi africani.

Qui ovviamente il contesto è diverso, ma certo non è proibito pensare ad un approccio con il suo consueto soft power di Pechino.

Noi per primi lo sappiamo bene, dato che in tempi recenti la Cina aveva puntato con decisione la nostra Penisola ed i nostri porti; non è un mistero che la Cina individui i soggetti più propensi, o più vulnerabili, ad un certo tipo di politica che da un lato parrebbe aiutare e dall’altro richiede poi la completa disponibilità a favorire l’espansione commerciale.

Tutto questo benché la Cina stia attraversando un momento economico travagliato, ed alla luce del fatto che l’avvicinamento alla Russia stia preludendo di fatto alla sostituzione cinese del vecchio attore russo, stremato dalla guerra ucraina. Poniamoci un’altra domanda retorica; se la Cina è un paese che può diventare, se già non lo è, un problema in termini europei, conviene accelerare per fare sì che nell’orbita europea rimangano paesi potenzialmente favorevoli al vecchio continente, oppure correre il rischio di lasciarli in balia della trappola cinese? È qui che manca ancora la crescita di una reale capacità politica estera in ambito europeo. 

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