Meno populismo. O  il Movimento 5 Stelle non avrà futuro

Meno populismo.  O  il Movimento 5 Stelle non avrà futuro

La disputa tra Grillo e Conte su come riorientare il M5S è solo un  gioco di potere  che diventa tanto più aspro quanto più la barca fa acqua.

Il problema vero della creatura del comico genovese non sono tanto il modello organizzativo, la catena di comando, i metodi della democrazia interna fantasiosa che è sempre stata un mix di autoritarismo dei leader imbellettato con consultazioni via internet tra pochi intimi.

Il problema vero è l’identità politica del M5S, una formazione che Martin Wolf , autorevole giornalista del Financial Times, definisce populista di centro.

Gli ingredienti del successo iniziato 11 anni fa sono stati: la delegittimazione delle élites politiche tradizionali, l’aggressività verbale, gli slogan  semplicistici ad effetto senza contenuti concreti praticabili, un anticapitalismo romantico con la distopia della decrescita felice- felice solo per chi può permetterselo – un ecologismo senza capo né coda, una vaghezza totale in politica estera e la presunzione di risolvere problemi complessi -come la povertà- con misure squinternate.

Il M5S ha guidato due governi con Giuseppe Conte e ha iniziato a perdere consensi mentre aveva il potere. Gran parte delle promesse non sono state mantenute perchè era impossibile farlo. Per il resto, il M5S si è gradualmente staccato dal populismo urlato della piazza di Grillo ed è diventato un partito populista in Parlamento, manovriero e opportunista nelle alleanze. Non ha fatto crescere più di tanto una classe dirigente  adeguata ,soprattutto a livello locale, e non ha elaborato  una chiara strategia per contendere al Pd l’egemonia dell’area riformista.

D’altronde, un partito populista quando deve diventare realmente riformista deve scandere dal comodo piedistallo dei proclami, mettere le mani in pasta e dimostrare di saper trovare soluzioni concrete. E questo lavoro Conte non lo ha fatto. La tenuta del M5S è stata in gran parte dovuta al reddito di cittadinanza e alla difesa ostinata del superbonus 110%. Quando Meloni ha cancellato le due misure di cui Conte si vantava è iniziata la fuga di una parte della base elettorale del M5S. Una batosta prevedibile.

L’ambito sorpasso sul Pd non c’è stato. Nel frattempo l’alleanza  tra i Verdi e la sinistra estrema ha tolto  agli ex grillini alcuni cavalli di battaglia ecologisti e di rivendicazioni sociali

 Ora il M5S deve decidere: tornare ai vecchi tempi della demagogia e quindi candidarsi all’isolamento oppure provare a fare un salto di qualità ritrovando lo spirito delle origini ma lasciando in soffitta tutto il resto.  

Tornare al populismo per chi ha guidato due governi è una strada poco percorribile: ha avuto il potere e non ha realizzato quello che avevi promesso. Invece  Conte dovrebbe rilanciare  due elementi distintivi della storia del M5S: il rigore morale  e nella sfera pubblica, senza sudditanza verso il giustizialismo di certa magistratura  e l’attenzione alle fasce sociali più deboli  non per manipolarne il consenso ma per metterle al centro dell’agenda  della politica. Per fare questo il M5S deve abbandonare il populismo e riscoprire alcuni elementi del popolarismo che è ben altra cosa. Insomma il M5s deve passare dall’adolescenza all’età matura: affronatre i problemi con razionalità e concretezza senza rifugiarsi nella comfort  zone della demagogia irresponsabile. Se non lo farà si condannerà a diventare una setta di pochi adepti che recitano slogan  come litanie ma sono del tutto ininfluenti nella vita politica.

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