Quando il teatro diventa specchio della psiche e delle dinamiche umane, rompe il bavaglio che silenzia le vittime. L’eternità di un mito che ci riguarda tutti
Di Rosalba Panzieri
Nel suggestivo scenario del Teatro romano di Ostia, si è conclusa la prima edizione del Teatro Ostia Antica Festival con “Ifigenia”, un’opera che ha il potere di scuotere le coscienze. Ifigenia è una creazione internazionale firmata dalla regista spagnola Eva Romero e scritta da Silvia Zarco. Il progetto nasce dalla collaborazione tra il Teatro di Roma e il prestigioso Festival Internacional de Teatro Clásico de Mérida e si impone come un ponte tra culture, ma soprattutto tra epoche e stati dell’anima. Quando Aristotele, nella “Poetica”, criticò il passaggio di Ifigenia da vittima disperata e ignara a eroina che volontariamente si immola per la patria, mise in evidenza una delle dinamiche più potenti della natura umana: l’inganno.
Eva Romero mostra la natura del tradimento
La tragedia di Ifigenia, sacrificata dal padre Agamennone per ottenere il favore degli dèi nella guerra di Troia, non è solo una storia antica. È una ferita archetipica che continua a pulsare nel nostro immaginario. La ragazza viene ingannata dal padre, che le fa credere che sarà data in sposa ad Achille, solo per attirarla in Tauride, dove sarà invece sacrificata alla dea Artemide, per ottenere venti favorevoli verso Troia. Tutta la flotta condotta dal padre brama la sua morte, solo Achille, inutilmente, si oppone. L’illusione di felicità si rivela progetto di morte. Ifigenia, prima supplice, poi disperata, sceglie di abbracciare la logica paterna e accetta di immolarsi per il suo popolo.

Eva Romero, con la sua regia intensa e visionaria, trasforma il mito in uno strumento di indagine psicologica e sociale, portando in scena non solo il dolore, ma anche il silenzio che lo avvolge e l’inganno entro il quale matura. Attraverso un linguaggio universale e una narrazione che intreccia passato e presente, Ifigenia affronta il tema della violenza di genere con una profondità rara, permettendoci di indagare gli effetti della manipolazione e dell’inganno. La figura di Ifigenia diventa simboli di un sacrificio che si ripete, di generazione in generazione, sotto forme diverse ma con lo stesso esito: la negazione della voce femminile e l’adesione alla logica del carnefice.
Una riflessione sulla psiche collettiva
Lo spettacolo non si limita a denunciare l’erosione di identità che il tradimento con inganno genera nella vittima. Interroga. Scava. Ci costringe a confrontarci con le dinamiche interiori che alimentano la violenza: il senso di colpa, la repressione emotiva, l’identificazione col carnefice. In questo senso, Ifigenia è anche un viaggio nella psiche collettiva, un rito teatrale che ci invita a riconoscere le nostre ombre e a trasformarle. “Mia figlia sta arrivando con il suo abito da sposa e io la ucciderò” dice Agamennone, una frase che risuona come un pugno nello stomaco. Non è solo l’emblema di una tragedia, ma il simbolo di un meccanismo psicologico che ancora oggi condanna molte donne e molti innocenti al silenzio e alla sofferenza.
Il sacrificio di Ifigenia non è solo un atto tragico, ma un esempio potente di manipolazione affettiva e inganno sistemico. Suo padre Agamennone non le impone la morte in modo diretto, ma costruisce un bisogno, facendole credere che il suo sacrificio sia necessario per il bene comune, per la gloria, per la salvezza della Grecia. Le offre un senso, una narrazione eroica, e lei lo abbraccia per non affrontare la verità di essere stata tradita da chi amava.
Questa dinamica è psicologicamente devastante. Ifigenia viene illusa, sedotta da un ideale, e poi uccisa. È una forma di gaslighting antico, dove la realtà viene distorta per rendere accettabile l’inaccettabile. La giovane non solo accetta il sacrificio, ma lo rivendica, lo trasforma in atto volontario, perché l’alternativa sarebbe riconoscere l’abisso, ossia che suo padre è un politico crudele, disposto a tutto per il potere.
Questa identificazione della vittima con il persecutore è nota in psicologia come sindrome di Stoccolma. Ifigenia non combatte il carnefice, ma lo giustifica, lo ama, lo difende. È un meccanismo di difesa estremo: meglio morire con l’illusione dell’amore che vivere con la consapevolezza del tradimento.
La risonanza contemporanea del mito dalla famiglia alla società
Euripide, con Ifigenia in Aulide, ci offre un ritratto disturbante e profondo della psiche umana: un’opera che anticipa i temi della manipolazione, del trauma e della resilienza.
Dal punto di vista contemporaneo, la vicenda di Ifigenia affronta diverse dinamiche in cui siamo immersi. La manipolazione emotiva nelle relazioni familiari, dove il bisogno viene creato artificialmente per ottenere obbedienza. Le narrative di potere, in cui il sacrificio femminile è romanticizzato e reso necessario per mantenere l’ordine.
Le strategie di sopravvivenza psicologica, dove la vittima si aggrappa all’illusione per non crollare sotto il peso della verità.
Euripide, con Ifigenia in Aulide, ci offre un ritratto disturbante e profondo della psiche umana, con un’opera che anticipa i temi della manipolazione, del trauma e della resilienza, rendendola ancora oggi straordinariamente attuale.

Il teatro come spazio di guarigione
Il cast, composto da interpreti di straordinaria intensità emotiva, non recita: incarna. Ogni gesto, ogni parola, ogni silenzio è carico di significato psichico. María Garralón, Juanjo Artero, Laura Moreira e gli altri attori non portano in scena personaggi, ma stati dell’anima. E il pubblico, di fronte a questa epifania può elaborare il trauma, riconoscere le proprie e le altrui ferite e iniziare il cammino verso la guarigione. “Attraverso un linguaggio universale e una storia commovente – dice la regista – siamo invitati a riflettere sul nostro passato sperando di costruire un futuro più giusto ed equo per tutti”. E forse, proprio in questo spazio sospeso tra tragedia e catarsi, possiamo iniziare a riscrivere il copione della nostra umanità. Nel dialogo tra mito e contemporaneità, tra dolore e speranza, Ifigenia ci ricorda che il teatro non è solo arte. È coscienza. È un atto politico, etico, umano. È un invito a ripensare il nostro rapporto con il potere, con la memoria, con la giustizia.