C’è un nesso strettissimo tra la teoria della conoscenza, la teoria dell’azione sociale e quella della democrazia. Le tre visioni sono strettamente concatenate. Se si parte col piede sbagliato con una teoria della conoscenza piena di errori e in contrasto col metodo prudente e rigoroso usato dalla scienza, si verificano distorsioni inevitabili su ciò che pensiamo del vivere sociale, delle interazioni tra le persone, delle istituzioni e del funzionamento stesso della democrazia. E tutto ciò comporta conseguenze negative sui modelli di organizzazione sociale e politica. Non esistono teorie della conoscenza “innocenti” o “ininfluenti.
Lorenzo Infantino, docente ordinario emerito della Luiss Guido Carli ha dedicato la sua vasta produzione scientifica a descrivere questi nessi, avvalendosi di una rara padronanza dei pensatori classici. A lui si deve il merito di aver tolto dalla polvere giganti del liberalismo, come Friedrich von Hayek, di aver fatto approfondito le opere di Carl Menger, Ludwig von Mises e della scuola austriaca dell’economia, di aver evidenziato il nesso tra pensatori come Montesquieu, Savigny e Burke e la tradizione che lega Adam Smith, David Hume e Bernard de Mandeville.
Nella sua opera fondamentale “L’ordine senza piano” uscita ormai 30 anni fa e tradotta in varie lingue, Infantino aveva già messo insieme tutte le tessere di un complesso mosaico che delinea l’individualismo metodologico, un approccio che si contrappone al collettivismo metodologico. Infantino smonta tutte le teorie che si rifugiano nella falsa utopia di un ordine che imposto dall’alto, sia che si tratti pianificazioni dettate da ideologie come il marxismo sia che si attribuiscano ad un potere assoluto e dispotico capacità che non sono degli esseri umani.
In questo agile ma densissimo saggio Infantino opera una sacrosanta demolizione della filosofia di Cartesio che costruisce l basi dell’idealismo sull’autoevidenza della verità, sul rifiuto del metodo socratico e sull’affermazione che esista una fonte privilegiata della conoscenza. E’ da questi errori cartesiani che derivano le concezioni che affidano agli uomini il potere di decidere sugli uomini mentre la vera modernità consiste nell’affidare alle leggi il compito di regolare i rapporti sociali normando quello che non si deve fare e senza imporre limitazioni inaccettabili alla libertà individuale
A Cartesio, ammiratore come Platone del mito dell’autoritarismo di Sparta, e agli enciclopedisti Infantino contrappone il filone di pensiero che parte da Montesquieu e arriva ad Hayek e Popper e che si basa sull’idea che non esistono punti di vista privilegiati , non esistono decisioni che non abbiano conseguenze imprevedibili, non esiste una coscienza collettiva, una sorta insieme di fini ultimi che noi perseguiamo consapevolmente. La società non è una costruzione consapevole basata su un modello che viene imposto dall’alto o da un gruppo che si attribuisce una conoscenza “superiore” ma è frutto dell’interazione tra individui che sbagliano e correggono i loro errori creando così un equilibrio ,un ordine sociale che è sempre in evoluzione.
Tutte queste sopravvivenze del collettivismo metodologico continuano a costituire la base gnoseologica del totalitarismo che pretende di imporci cosa fare, in nome di un potere che si ritiene onnisciente e si autolegittima, che non ammette di poter sbagliare, che sacrifica l’individuo sull’altare di una falsa idea della società intesa come costruzione preordinata.
Il merito di Infantino, anche con questo saggio, è di smascherare tutti i trucchi e le trappole del pensiero illiberale che si nasconde nelle opere di pensatori osannati come utopisti e profeti di un mondo migliore, un album di famiglia che che include Platone, Cartesio, Rousseau, Marx e i loro epigoni.
Lorenzo Infantino: “Conoscenza. Governo degli uomini e governo delle leggi” Rubbettino Editore 2024