Il Governo presieduto da Giorgia Meloni ha puntato molto sui centri per i migranti in Albania, per ridurre la pressione anche psicologica degli sbarchi in Italia, per disincentivare coloro che si dirigono verso le coste italiane sapendo già di non avere i requisiti per la protezione internazionale e per evitare il dilagare di immigrati irregolari che fuggono con facilità dai centri di permanenza per i rimpatri (CPR) in Italia, sovraffollati e poco controllati, ed entrano nella clandestinità
Ma la Presidente del Consiglio italiana si è mossa con due anni di anticipo sull’entrata in vigore del nuovo Regolamento europeo (2024/1348) che abroga la Direttiva UE 2013/32 attualmente in vigore.
Il punto delicato riguarda la definizione di Paese di origine sicuro. Infatti ,in base agli accordi tra Italia e Albania, nei centri di Shëngijn e Gjadër possono essere trattenuti solo migranti il cui Paese di origine si può definire sicuro e che quindi possono essere sottoposti alla procedura accelerata di frontiera.
La Direttiva ancora in vigore, che sarà sostituta dal Regolamento approvato nella primavera del 2024 ma sarà applicato solo Giugno del 2026, stabilisce che per essere considerato sicuro un Paese deve esserlo in tutto il suo territorio e senza distinzione per determinate categorie di persone.
Applicando questa norma, la Corte di Giustizia Europea il 4 ottobre, nel corso dell’ esame di un caso relativo alla Moldova, la cui Regione della Transnistria non è considerata zona sicura per le ingerenze russe, ha stabilito che il diritto dell’Unione non consente attualmente agli Stati membri di designare come Paese sicuro “solo una parte del territorio del Paese terzo interessato”.
Da quel momento in poi i magistrati italiani che si occupano si questi problemi si sono uniformati all’orientamento espresso dalla Corte del Lussemburgo e hanno ordinato di trasferire in Italia i , pochissimi , migranti che erano stati portati in Albania ,perché i loro Paesi di origine, Egitto e Bangladesh, non potevano essere considerati interamente sicuri.
Il Governo se l’è presa ingiustamente con i magistrati che hanno solo applicato le norme. Ha cercato di superare l’ostacolo in due modi :ha stilato con un atto normativo primario(un decreto legge) una lista di Paesi che Roma ritiene sicuri e ha tolto il potere di decidere su questi problemi alle sezioni speciali dei Tribunali (che si erano espresse contro il trasferimento dei migranti egiziani e bengalesi in Albania) trasferendolo alle Corti di Appello. Ma le Corti di Appello in Italia sono onerate di lavoro, hanno pochi magistrati a disposizione e non si sono mai occupate di questi temi. Per questo, alcune di queste Corti hanno chiesto proprio ai magistrati, cui il Governo ha tolto la competenza, di lavorare con loro……
Nel frattempo la Corte di Cassazione ha riconosciuto al Governo il diritto di definire quali Paesi siano sicuri e quali no. La Corte si è pronunciata relativamente ad una vicenda quando la lista dei Paesi sicuri era contenuta in un decreto legislativo di recepimento della Direttiva europea. Ma i principi che ha stabilito la Cassazione valgono anche per l’elenco contenuto oggi in una legge.
La qualificazione di paese sicuro non è un atto politico su cui il Governo possa rivendicare totale autonomia. La lista è un atto tecnico caratterizzato da discrezionalità e deve rispettare i requisiti previsti dalla Direttiva 32/2013 e dalle altre norme italiane. .Poiché è in gioco un diritto costituzionale ( il diritto all’ asilo e alla protezione ) l’ultima parola deve spettare al magistrato Nel caso esaminato dalla Cassazione il giudice può legittimamemente disapplicare il decreto legislativo, senza cancellarlo. Ora che c’è la lista fissata per legge il giudice può eccepire sulla correttezza della qualificazione di un Paese come sicuro tenendo conto di elementi evidenti nel momento in cui il giudizio di svolge.Il giudice può inoltre valutare se, nel caso della singola persona che sta esaminando, ci siano motivi validi per ritenere il migrante oggetto di minaccia.In questo caso non c’è bisogno neanche di disapplicare alcunchè:in base alle norme europee vigenti il giudice nega la procdura accelerata di frontiera e dispone qulla ordinaria.
Si tratta di una decisione equilibrata della Corte di Cassazione che il Governo ha esageratamente considerato favorevole alla sua linea. Ma non è così. Se la lista dei Paesi sicuri fosse contenuta nella Direttiva europea vigente, la discrezionalità del magistrato non sarebbe consentita. Ma così non è.
Che succederà ora? Giorgia Meloni ha ragione nel sostenere che l’idea del suo governo di creare all’estero centri per i migranti è guardata con interesse da altri Paesi. Ma fino a quando sarà in vigore l’attuale Direttiva, il Governo italiano non potrà mai essere certo che la sua definizione di Paese sicuro non possa essere disapplicata in casi specifici dai magistrati.
L’unica soluzione possibile sarebbe quella di anticipare l’entrata in vigore del Regolamento europeo. Esso, all’articolo 61, prevede che: “La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili”. Inoltre il Regolamento prevede la procedura accelerata di esame (e respingimento) se proviene da un Paese d’origine sicuro o da un Paese con una percentuale di accoglimento delle richieste di protezione internazionale inferiore al 20%
Insomma al Governo italiano non resta che chiedere a Ursula von der Leyen di proporre di anticipare l’entrata in vigore del Regolamento sulla protezione internazionale o quanto meno di consentire ai Paesi che lo vogliano di applicarlo da subito e senza spettare il Giugno 2026.