Rosalba Panzieri
Nella sala Caduti di Nassirya del Senato della Repubblica italiana si è tenuta la presentazione alla stampa del libro della scrittrice palestinese Rula Jebreal dal titolo “Genocidio. Quello che rimane di noi nell’era neo-imperiale”
“Un cecchino non può sparare a un bambino due volte per sbaglio”
Rula Jebreal, giornalista e scrittrice, ha scritto per Piemme Edizioni un libro, definito dalla Senatrice Alessandra Maiorino, che ha organizzato l’evento di presentazione, “un necessario pugno allo stomaco che si ripete ad ogni pagina”.
Il 29 maggio scorso, presso il Senato della Repubblica, un’intera sala di uditori si è trovata schiacciata tra l’impossibilità di ascoltare e l’impossibilità di far finta di niente, mentre i relatori hanno raccontato gli orrori che stanno devastando il popolo palestinese nella striscia di Gaza.
Le parole dell’autrice passano per l’inchiostro impregnato della memoria del sangue, ultimo esito di un massacro di innocenti e inermi, l’inferno in terra per chi lo vive, che si sta consumando in mondovisione, nella più totale inerzia dell’Europa, quando non nella complicità.
Proprio di complicità parla Rula Jebreal nel suo libro e al pubblico, di un sostegno suicidario con cui l’occidente sta armando Netanyahu per sterminare bambini e civili, domandandosi e domandandoci come ci salveremo da quest’onta e dalla rabbia delle vittime. “Il cento per cento delle bombe – dice Rula Jebreal – che il governo di Israele sgancia sulla testa dei bambini palestinesi è prodotta in 3 paesi, ossia Stati Uniti, Germania e Italia. Non lo dico io, lo dice Borrell, l’ex ministro degli esteri europeo, che alcuni giorni fa ha chiesto di smettere di inviare queste bombe, se si è davvero allarmati e arrabbiati per il numero delle vittime. Questo è un genocidio israeliano occidentale”.
La testimonianza di Mark Perlmutter, chirurgo americano di MSF
Se si vuole immaginare l’inferno bisogna costruire nella mente un luogo dove bambini inermi bruciano tra le fiamme, orfani, affamati, assetati, amputati senza anestesia, morti di setticemia, puntati intenzionalmente dai cecchini. Se si vuole capire la filosofia dell’inferno bisogna pensare alla distruzione della vita e di ogni argine sacro, pensando ad un luogo dove i medici vengono giustiziati perché al servizio della vita e con loro vengono uccisi i giornalisti, perché al servizio della verità. Oggi quel luogo è Gaza, come racconta Mark Perlmutter, chirurgo ebreo americano di Medici Senza Frontiere. “Gaza è la realtà peggiore che ho visto in 30 anni di lavoro – dice il chiurgo – in scenari terribili, ma nessuno si avvicina lontanamente a questo. L’ultima volta che Israele ha violato il cessate il fuoco concordato con i palestinesi erano le 2,30 del mattino. Sono stato chiamato d’urgenza e nella sala del pronto soccorso il pavimento era interamente coperto di sangue, c’erano bambini che stavano sanguinando di emorragie mortali, altri con gli arti amputati che si aggrappavano faticosamente alle mie gambe con l’unico arto che gli restava. L’ospedale era completamente privo di strumentazioni e materiali adatti, ho dovuto scegliere chi salvare e chi lasciar morire”. Parole, quelle del dottor Perlmutter, che diventano pietre di una via crucis nel libro della Jebreal e che pongono davanti alla caduta delle Convenzioni di Ginevra, che permettono ai medici di operare per la vita in zone di guerra.
“C’è un medico, un ortopedico, torturato e stuprato da una soldatessa israeliana con una verdura intrisa nel sangue di un maiale, per fargli confessare dove si nascondesse Hamas, poi gli sono state spezzate le dita. Parliamo molto spesso degli ostaggi ebrei, ma nessuno parla dei 350 medici che sono attualmente in prigione in Israele sono in prigione senza capi d’accusa, senza essere rappresentati da alcun legale, senza avere l’opportunità di difendersi. Anche loro sono ostaggi, ma l’Occidente non si occupa di loro”. Come ha ricordato e denunciato il Comitato Centrale della FNOMCeO “i medici sono testimoni di pace nei luoghi di guerra”. Il chirurgo ha concluso il suo intervento spiegando che non si deve temere di usare il termine genocidio per raccontare lo sterminio che si sta perpetrando a Gaza.
Condannare un genocidio non vuol dire sostenere l’antisemitismo
La giurista Chantal Meloni sottolinea i diversi aspetti, ampiamente descritti e argomentati nel libro, riconducibili a crimini di guerra con delle novità atroci, tra cui le sparizioni forzate di medici e personale sanitario. “Occorre una riflessione perché è proprio in Italia che, nel 1998, è stata istituita la Corte dell’Aia, la corte penale internazionale. A fine novembre scorso questa corte ha spiccato un mandato d’arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, tra cui l’affamamento, contro il primo ministro Benjamin Netanyahu, che ora è di fatto un ricercato internazionale. Il governo ha il dovere di rispettare il valore di questo mandato”.
Rula conclude dicendo che non è stata lei a scegliere il titolo, ma la ricerca della verità, oltre che le parole dei maggiori esperti internazionali a guidarla e che tacciare di antisemitismo chi lotta contro lo sterminio di un altro popolo è offensivo e manipolatorio.
Quel che è certo è che fenomeni come il turismo macabro organizzato da alcuni Israeliani, che pagano per vedere col cannocchiale bambini saltare in aria, è una profanazione della memoria orribile di ogni sterminio, di ogni genocidio passato e che mai più avremmo dovuto vedere.
La cosa più grande sconfitta di un essere umano è diventare ciò che gli hanno fatto.